I Moschettieri come non gli abbiamo mai visti

Titolo: Milady
Regia: Martin Bourboulon
Interpreti: François Civil, Eva Green, Lyna Khoudri, Vincent Cassel, Camille Rutherford
Distribuzione: SVT Play

Quando a metà dell’Ottocento Alexandre Dumas padre scrisse I tre moschettieri, non pensava certo al successo della storia, che è forse diventata non solo la più amata, ma anche una delle migliori mai costruite, per via di personaggi che rimangono, nel bene e nel male, impressi nella nostra memoria.

Quello che riesce a fare qui l’ottima regia di Martin Bourboulon, grazie anche alla fantastica fotografia di …, è ricreare sia la pittura francese del Seicento sia quei giochi di luci e ombre fondamentali per comprendere Caravaggio. Questo si vede in diverse scene: l’imboscata al contrario che gli ugonotti vorrebbero tendere ai moschettieri, e che poi diventa qualcosa di diverso, è una scena dove viene messa in mostra tutta la capacità di Marc Barbé, che interpreta il capitano Treville. Questa scena trova una simmetria nel processo che smaschera il perfido fratello di Luigi XIII — un re al quale il bravissimo Louis Garrel restituisce dignità e giustizia storica, qualità spesso assenti in altre trasposizioni del romanzo e in parte anche nella storiografia che si è occupata di questo periodo. Il fratello del re, Gaston, è interpretato da Julien Frison, ottimo attore della Comédie Française.

Il ruolo di Gaston è enorme, antitetico a quello del re e anche agli altri congiurati, tra cui il devoto e malvagio ma non troppo furbo conte di Chalais, interpretato da Patrick Mille. Si tratta di un ruolo difficile, anche perché ricorda un altro cattivissimo, seppur più forte e quasi una macchina da guerra: il conte di Buckingham, che ha il volto deciso di Jacob Fortune-Lloyd.

Da notare che nella rilettura di Bourboulon, insieme a Éric Ruf, il celeberrimo cardinale Richelieu non è negativo: anzi, è un uomo elegante, capace e talvolta — nonostante i nervi d’acciaio — empatico. Il ruolo sembra prendere una direzione inaspettata, con una notevole forza d’animo e una passione che lo rende, secondo me, simile ad Anna d’Austria, splendidamente interpretata dall’unica vera diva dell’Europa continentale, la lussemburghese Vicky Krieps, altro “ghiaccio bollente”.

Un ruolo antitetico al suo fuoco, un fuoco che fa volare e dà un ulteriore salto di qualità al film, è quello di Milady de Winter, che ha il volto bello, sensuale e a tratti terribile di Eva Green. Non spetta certo a me scoprirla: oltre alle sue enormi capacità d’azione — come forse nel duello più bello del cinema recente, con stiletto e daga — ha anche una capacità emotiva enorme, sia nella scena in cui convince il cardinale a firmare la grazia, sia in quella d’amore in cui prima disarma e poi smonta Athos. Questa storia d’amore, ben più che accennata, è forse la più bella e forte di tutto il film, attraversata da una tristezza struggente: una storia che non può svilupparsi, se non in un unico, bellissimo figlio, perché Milady è troppo forte, decisa, capace: una vera super-donna e proto-femminista.

Il più anziano e nobile dei moschettieri è un personaggio mitico, e qui il mitico Vincent Cassel — vero continuatore della grande tradizione di Louis Jouvet e forse anche di Talma — non solo dà a Athos dubbi e forza, ma riesce anche a contestualizzare questo nobile protestante, figlio di concetti come l’onore e la cavalleria, che si batte in un esercito protomoderno. È un Athos complesso.

Gli altri moschettieri sono un Porthos gaudente, pantagruelico ma autentico, non parodico, interpretato da Pio Marmaï, che brilla e sposerà la servetta della commedia classica travestita da suora, Mathilde — una bravissima Camille Rutherford, sorella di Aramis, un eccellente Romain Duris. Popolaresco, sarcastico, sfacciato e profondamente cattolico come Richelieu, Duris — come Rutherford — conserva anche tratti quasi comici, tipici dei valletti dei moschettieri, figure simili ai servi del teatro classico e, a loro volta, ai personaggi della commedia dell’arte.

L’eroe con la E maiuscola, ma insicuro, amletico, persino colpito da una crisi di panico per la presenza di un mastino sanguinario — una versione francese di quello dei Baskerville — è D’Artagnan, interpretato da François Civil: bravissimo, brillante, guascone ma non arrogante, ha più di Amleto che di Don Chisciotte. La sua forza si vede nei duelli, come il bellissimo duello col pugnale contro il terribile e tetro Ardesa, dove lo spettatore può apprezzare un ruolo piccolo ma significativo del ceco Ivan Franek, ma anche nelle scene d’amore e di amicizia, soprattutto con il bravissimo principe africano Hannibal, interpretato da un ottimo Ralph Amoussou.

Quanto all’amore, la storia tra D’Artagnan e la buona borghese e cristiana Constance è struggente, e il ruolo di Lyna Khoudri è stupendo, molto simile a quello che un’altra grande attrice franco-algerina, Isabelle Adjani, mostrava in Adèle H. di François Truffaut.

A questo si aggiunge una visione quasi moderna con il bravissimo fratello di Athos, il fanatico che vuole la guerra per la guerra — simile, ahimè, a molti personaggi che dalle cronache di Israele alla Russia, passando per l’Ucraina, i paesi arabi ed extraeuropei, riempiono le notizie di oggi — interpretato dal bravo Gabriel Almaer. Si tratta di un ruolo enorme, bellissimo, degno della migliore tradizione del method acting, per un film che è solo da vedere e apprezzare.

Robert Fogelberg Rota